Il cielo, in modo disonesto,
stamani il sole ha compromesso;
l’ha invitato sulla soglia
dicendogli: fai presto!
Senza di te non fa lo stesso
effetto l’alba che mi spoglia.
[una parola: impermanenza]
Leggendo Vuoti d’ossa si è pervasi dalla suggestione di poesia come sguardo indagatore e permeante, osservatore instancabile di ciò che si nasconde nel paesaggio che vediamo, viviamo, amiamo e talvolta disprezziamo. Emerge con forza quel senso di impermanenza che caratterizza il pensiero del poeta, come spiega Simona Wright nella prefazione “lo stile di Trentin assottiglia il dettato sospingendo la parola verso un minimalismo testuale che scuote e turba l’esperienza sensuale”.
Molti anni fa appresi dalla voce del poeta Andrea Zanzotto una definizione di poesia che fu illuminante per comprenderne l’essenza: la poesia misura il significato delle parole e il loro suono. L’aspetto che riguarda la sonorità mi ha affascinato e ho capito che la poesia va letta a voce alta, non può essere solo un canto interiore.
La silloge di Alberto Trentin è un’attenta sinfonia, sia nel movimento d’andata Palingenesi, 24 sestine chiamate Movimenti, sia in quello di ritorno Apocatastasi, 24 sestine titolate Palinodie; una raccolta soppesata di parole, di sonorità e di suggestioni in cui le poesie oscillano tra suoni e silenzi, fino al limite tra conscio e inconscio, come in un movimento ondoso tra la lingua e l’oltre.
Ciò che più rimane impresso, come la traccia che segna un sentiero, è la sua abilità nel definire -in modo indefinito- le coordinate dello spazio e del tempo. Si ha la percezione di un luogo o un paesaggio conosciuto ma poi l’immagine sfoca, come in un sogno; le parole seguono il ritmo delle sillabe o delle rime e il tono della voce è scandito dalla comprensione ma al contempo i significati allusivi accompagnano altrove, permettono d’immaginare nuovi percorsi; spesso ho avuto la sensazione di un tempo continuo, che agisce dal passato e al passato ritorna, attraversando un presente possibile, ipotetico e insignificante, insignificante non perché privo di significato ma per sua natura intrinseca, perché fugge e sfugge dal campo conoscitivo.
Trentin mostra le parole come stelle fisse: possono fissare un momento che diventa il sempre oppure il mai del lettore stesso.
La recensione completa a questo link.
Alberto Trentin, Vuoti d’ossa, Arcipelago Itaca, 2017