Un’eco di quei giorni di piacere,
un’eco di quei giorni ho risentito,
l’ardore della nostra giovinezza;
ho ripreso in mano una lettera
e finch’è mancata la luce l’ho riletta.
[una parola: nostalgia]
Le poesie di Costantino Kavafis provocano in me una sorta di afflato nostalgico. Percepisco l’accurata cerca delle parole e del sentire che desiderano evocare; avverto il bisogno estremo del poeta di trovare uno spazio e un tempo in cui sostare e uno spirito ramingo che si accontenta di brevi momenti di quiete, consapevole dell’illusorietà e della transitorietà dei soggetti-oggetti dell’esistenza.
Kavafis è uomo di grande cultura, è evidente in nelle sue opere, ma non è il ruolo da letterato che si respira nelle sue poesie, piuttosto quello dell’uomo dedito a uno studio viscerale che egli trasmette in modo impareggiabile; ciò che conosce supera il livello di una formazione intellettuale per trasformarsi in conoscenza vera. L’impressione avuta in molte delle sue poesie è quella di una costante ricerca di verità, per se stesso, non da declamare o di cui vantarsi.
Il suo amore per il mondo classico si respira dai riferimenti a personaggi storici o mitologici, compagni di una vita; oltre, c’è la sua attenzione per ogni essere umano, persone apparse, scomparse, a volte tornate a essergli vicine, persone sconosciute di cui annota un particolare, persone che toccano la sua sensibilità fino a commuoverlo; nel suo scritto Il mio primo viaggio in Grecia, sebbene il testo non sia poetico ma un diario di viaggio, il desiderio di trovare lo specchio della propria anima è sotteso nelle sue riflessioni.
Il poeta è consapevole che il greco è la lingua che «ha insegnato ai popoli la dolcezza e l’umanità» e lui se ne fa portavoce, il suo lessico mostra «la levigatezza e le screziature del marmo», come afferma Nicola Crocetti nell’introduzione alla raccolta di poesie. Non conosco la lingua greca, ahimè, ma la traduzione in italiano delle poesie riesce a trasmettere esattamente quella sensazione.
Kavafis ha una precisa idea di arte: il suo scopo precipuo è quello di essere piacere e apertura dello spirito; tali desideri, trasferiti nella sua arte poetica, sono la nostalgia per il mondo ellenistico che prova a colmare di un piacere insaziabile e lo spingono alla continua ricerca di senso del precetto scritto sopra la porta del tempio di Apollo a Delfi.
Ogni poesia dell’Alessandrino, così è spesso chiamato, è un’immersione nelle acque limpide e profonde del mare greco, è l’esperienza di un viaggio.
Costantino Kavafis, Le poesie, a cura e trad. Nicola Crocetti, Einaudi Editore, 2015. Konstandinos Kavafis, Il mio primo viaggio in Grecia, a cura di Gianni Schilardi, ARGO, 2012.