Non era facile vivere nei ricordi. Non se stavi già vivendo qualcosa, come nella mia situazione. L’unico vantaggio di tormentarsi a quel modo fu quello di capire più a fondo i miei sentimenti. Scoprii che Louise, a parte sulle sponde di quel piccolo fiumiciattolo, per me non esisteva. Non mi chiedevo come stesse in quel momento, né se le mancassi, o se stesse soffrendo. Mi fu chiaro che il potentissimo legame fra me e lei era quell’attimo di godimento che provavamo, e dietro quello il nulla. Non so perché, ma mi sentii triste; prigioniero del sole e della notte, indifferente ai giorni.

Bernardo zannoni

[tre parole – tre citazioni: sopravvivenza, solitudine, scrivere]

sopravvivenza: Mi chiesi quanto forte bisogna desiderare, per muoversi attraverso un sogno o un ricordo, come ancora faceva la lince. Scoprii che era molto facile; pensai a Gioele, e ad Anja, e a me.

solitudine: […] sapevo il destino di mio fratello, era chiaro anche il mio e quello di tutti. Mai avrei detto di poter morire a questo mondo. Dovendo morire, il mondo mi diceva che non era mio.

scrivere: Ma non fu questo a farmi meravigliare. Tutta la mia rabbia era sbiadita insieme allo sconforto. Il mio viaggio era diventato un ricordo leggero, una storia terribile ma antica. Stringendo i fogli nella zampa, avvertii il loro peso, era cambiato per sempre. Avevo intrappolato la mia prigione nella carta. Ero di nuovo libero, e triste.


Per quanto stia cercando parole spontanee per lasciare una traccia di questo libro, mi risulta difficile trovarle. Ho l’impressione che questo scritto sia più grande di me. Mi sembra che ciò che rimane oltre la storia sia di una tale portata che non possa essere racchiusa in un articolo di uno dei tanti blog che parlano di libri. Eppure c’è qualcosa che mi inchioda alla scrivania, mi fa stare di fronte alla pagina bianca nel tentativo di prendere appunti, soprattutto per me stessa. Cos’è, dunque, che frena e pulsa? Credo sia la sua potenza.


Parto da qui, da potenza, dal suo significato, cioè il raggio d’azione consentito da uno o più motivi di forza, capacità, autorità, per definire una sorta di spazio entro cui si svolge la narrazione. Già qui tenderei a perdermi, devo per forza fare una digressione: i personaggi di questo libro sono animali, il protagonista stesso -che ci lascia la sua storia- è Archy, una faina, una faina che impara a leggere e a scrivere da una volpe che credeva d’essere un uomo. Inevitabile, quindi, pensare alla favola e Bernardo Zannoni onora il vecchio saggio Esopo, rispetta la natura faunistica dei protagonisti, lo spazio non-spazio e il luogo non-luogo. Ci sono faine, pettirossi, un cane e una volpe, cinghiali, castori e altri ancora. Ci sono -definiti e indefiniti- una tana, un bosco, una collina e delle montagne. C’è il tempo che passa, non si sa quanto, ma Archy nasce-vive-muore. Quindi, la potenza in termini di coerenza di scrittura è delineata.

Le favole, però, per loro natura, necessitano di una morale, perché questo fu l’intento di Esopo e dopo di lui di Fedro, e secoli dopo di La Fontaine che riscrive quelle stesse favole in un lirismo che, per l’appunto, lo caratterizza nella storia letteraria. Bernardo Zannoni scarta a piè pari questo stupido intento -sospetto che fare della morale non sia mai rientrato nella sua idea di scrittura- e scavalca pure il tempo della favola, perché il XXI non è più in grado di accoglierne il senso [penso all’exploit della Favola di Goethe, ma quella è un’altra faccenda]. Quello che mette in atto è l’osservazione, non nella traduzione di quel show don’t tell da corso base di scrittura creativa, lui osserva e dice, narra con determinazione e distacco il mondo che è. È questa la potenza che ho avvertito nel corso della lettura.

C’è da chiedersi: la coscienza dell’essere umano è così inibita che, forse, l’essere animale può trasformare l’istinto in intelletto? Archy, accetta e si ribella alle costrizioni della vita. Archy preferirebbe vivere solo del suo istinto animale, comportandosi quindi secondo natura, ma non può e paradossalmente è quella sua stessa natura, presente in una forma parallela, a impedirglielo. L’ostacolo non sono i sentimenti in sé perché lui non riesce solo a viverli, ha bisogno di comprenderli, e ogni processo di comprensione richiede comportamenti non sempre consoni o non sempre aderenti al momento vissuto, talvolta la capacità d’intendere è tardiva, altre è precoce, simile a un’intuizione che continua a produrre sovrapposizioni di pensieri. Stimolazioni mentali che fanno passare le notti in bianco in attesa della loro conferma.

C’è la solitudine, ma non è solo solitudine; c’è l’amore, la sua forma istintuale e appagante e il dolore dell’abbandono e l’incapacità di amare senza misura, ma non si tratta solo d’amore; c’è la morte, l’attesa e la paura di vederla arrivare, ma ancora non basta; e non sono sufficienti i temi dell’abbandono, del coraggio o della sopravvivenza. C’è tutta la vita, ed è forse questa la sua potenza.


Bernardo Zannoni, I miei stupidi intenti, Sellerio editore, 2021.

Bernardo Zannoni ha ventisei anni, e questo mi sorprende.

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