È lì che, riportando lo sguardo verso la statale, vede la sagoma di Livia farsi sempre più grande. È scappata dalla prospettiva della scuola, forse in cerca di lei o forse no, ma adesso il buio si è fatto azzurrino e a breve sarà paglia incendiata. Livia ride senza motivo com’è suo costume. «Andiamo verso nord» si dicono. Compiere azioni che le portano a trovarsi nello stesso punto ed elaborare pensieri da cui trarre le medesime conclusioni non è, per loro, una novità. Ma il libero arbitrio non è quasi mai tale, e basta una qualsiasi evenienza per spingerti a fare una cosa invece che un’altra.

Ginevra Lamberti, Tutti dormono nella valle

Ci sono luoghi capaci di conservare la memoria più di altri e alcuni di questi sono anche in grado di raccontarla. Ginevra Lamberti si è calata in un luogo così, e ha ascoltato. Poi ha scritto. Penso sia questo il motivo per cui ha detto, da qualche parte, che Tutti dormono nella valle [edito da Marsilio] è la storia che da sempre voleva scrivere; lo ha fatto ora, in un romanzo la cui struttura e filo narrativo mostrano quanto certe storie si debbano depositare e stratificare, per poi essere amalgamate dall’abile mano della scrittrice.

Scegliere tre parole per racchiudere le vicende che si snodano nell’arco di sessant’anni ha richiesto tempo, soprattutto perché i temi narrati, a volte in superficie, altre volte radicati in fotografie ingiallite dal tempo, sono molti e importanti, sono le tracce di una parte della nostra storia italiana, che la velocità del cambiamento ha reso quasi invisibili. Il percorso narrativo che Ginevra delinea con grande maestria è fatto di strade, persone, sfondi, dettagli, oggetti, animali e riferimenti; ma è come se non dicesse mai effettivamente qualcosa, è come se silenziosamente invitasse il lettore ad affacciarsi alla finestra per guardare.


[tre parole: assenso, assenza, assenzio]

assenso: il silenzio-assenso è la leggerezza del vivere [a volte seguita da pesanti conseguenze] che negli anni ’70 permeava il girovagare di certe persone, l’andare senza motivo, l’incontrare in certi luoghi persone simili per stile di vita, per modalità di pensiero e d’azione; sono gli anni della definitiva crepa tra le generazioni del passato, quelle strutturate in una società, anche se vissuta con disagio, in una famiglia, anche se detestata, ma succube dell’obbedienza, e in uno schema di valori che rimanevano ideali e/o idealizzati, e le generazioni future, quelle che si sono adattate a vivere in una società destrutturata, in una famiglia spezzata, a volte allargata, altre incompleta, e una libertà che è diventata la pratica di fare ciò che si vuole. Costanza, la protagonista del libro, sta esattamente dentro la crepa: vive gli anni in cui spiriti raminghi come il suo trovano pace e dannazione nel lasciarsi andare alla vita, in un assenso totale.

assenza: di dialogo, di comprensione, di fiducia, di accettazione. Ma anche assenza di paura, di pregiudizi, di giudizio. Ginevra narra silenzi, racconta i vuoti nelle relazioni dei personaggi del suo romanzo con una tale delicatezza di penna da rendere la pienezza delle vite altrui anche quando sono

aride, “mentre monda i chiodini Augusta pensa ai giorni passati, con una nostalgia che ha più a che fare con la perduta facilità di esercitare un controllo che con l’affetto tisico e consunto riservato alla figlia.,

solitarie, “il momento in cui si era convinta di avere girato a sufficienza coincideva con il momento in cui si era resa conto che nessuno sarebbe venuta a riprenderla. Al rientro, la casa gialla era immutata. I suoi otto occhi la fissavano, trovandola lercia e scheletrica. Cosa c’è dentro di te, cosa?“,

sgangherate, “il tempo che Costanza ha passato in macchina ad aspettare che uscisse dallo studio, da un certo momento in poi, non l’ha calcolato più.”,

malate, “il magistrato rispondeva: «Sì, signorina, anch’io mi rammarico di non visitarla spesso.» E nella parola rammarico” parevano starci tutti i suoi anni di studio e poche uscite e niente droghe. Alla fine le aveva detto: «Signorina, io scendo a San Marco, posso offrirle qualcosa da bere?» Lei aveva detto di no perché doveva prendere la motonave, ma a tutti racconta che con un magistrato vai a sapere, magari gli facevano un attentato e ci restava secca pure lei. Poi conclude: «Quella volta sono rimasta allibita.» Ripete «Allibita», cerca gli occhi di Costanza e quando li trova le dice: «Questa parola me l’hai insegnata tu a Cortina».

assenzio: non c’è assenzio nella valle, c’è la grappa e un’antica tradizione, una sorta di rito della creazione; c’è Lina la Strega, che ha il dono di curare con le erbe e conosce tante sfumature sebbene viva isolata in fondo alla valle […] Giuseppino e Guendalina. Nessuno li chiama così, perché tutti li chiamano Pino il Gobbo e Lina la Strega. Pino e Lina hanno nomi che li fanno sembrare giocattoli di legno, un cavallo con le ruote e il cordino di spago per tirarlo, una credenza per metterci dentro riproduzioni di stoviglie in miniatura. Invece sono persone fatte di carne, e uno è il figlio dell’altra. E poi c’è lo sconfinato mondo delle sostanze stupefacenti, leggere, pesanti, devastanti, una novità che in quegli anni arriva ovunque e, come la sberla di un gigante, manda a terra ragazzi, genitori, amici e compagni. Quella che sembrava una vita libertina sulla falsariga dei bohemien, che si ubriacavano d’assenzio, diventa una vita di assenza da se stessi, nell’assenso continuo al bisogno di evadere da quella stessa libertà che sembra troppa, senza limiti e senza possibilità d’essere contenuta.


L’India di Costanza è iniziata all’Eur. Il cominciare delle cose non si conosce prima della loro fine, è dunque del tutto naturale che la mattina in cui Costanza era scesa dal taxi, terrorizzata, non avesse riconosciuto in quel luogo e in quel momento il profilo di un inizio.

Ginevra Lamberti scrive una storia comune a molte persone, con discrezione, franchezza e autenticità. Riferito al precedente romanzo Perché comincio dalla fine, Emanuele Trevi si pronunciò così: Ginevra Lamberti è impegnata in questo strano genere letterario che è “scrivere bene”, e io credo che il suo terzo romanzo lo confermi.

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