Mi chiedo spesso quale sia il peso specifico dei titoli. Titoli di libri, di opere, di mostre.
Peso specifico: ho letto on line che spesso si usa, impropriamente, la parola densità come sinonimo ma c’è una sottile differenza con il suo significato, perché la densità è un rapporto tra una massa e un volume, il peso specifico è un rapporto tra un peso (quindi una forza) e un volume. Mi piace questa specifica, soprattutto per ciò che è riportato tra parentesi perché un titolo è effettivamente una forza.
Luigi Ghirri e Modena. Un viaggio a ritroso è il titolo della mostra esposta al FMAV -Fondazione Modena Arti Visive (visitabile fino al prossimo 20 novembre) e c’è una grande forza in questo andare a ritroso con Luigi Ghirri. Ora, parlare del grande fotografo emiliano è impresa assai ardua, dovrei confrontarmi con nomi rilevanti che hanno già scritto su di lui, in modo cristallino, coinvolgente e impareggiabile; quindi, ciò che posso fare qui è fissare alcune osservazioni su quello che io ho provato nel trovarmi, ancora una volta, davanti alle sue fotografie originali. Non solo di fronte alle sue foto, a dire il vero, anche alle sue parole.

La forza che ho avvertito nel titolo non è strettamente legata al percorso espositivo, seppur saggiamente organizzato, ma al viaggio nel tempo, un tempo a ritroso fino agli anni Settanta, attraverso una totalità percettiva, sensoriale e mentale, dove i sensi, in particolare quello della vista, mandano continui impulsi alla mente che elabora, cataloga e apprende. La testimonianza che Ghirri ha lasciato, grazie al suo cercare le forme in tracce quotidiane e banalmente comuni – Gianni Celati scrive che Ghirri fotografava cose a cui nessuno bada […] per lui la foto doveva ridare dignità alle cose – permette di restituire allo spettatore un’appartenenza al mondo che è stato e non è più, se non nel ricordo.
Mi pare quindi che la sua straordinarietà stia nell’ordinarietà. Ecco perché la forza del titolo e delle fotografie esposte si distingue e accresce attraverso ciò che rievoca: colori, profumi e linee di contesti raramente sopravvissuti alla realtà contemporanea.



Nel secolo in cui tutto è fotografabile e fotografato e pubblicato, in una sorta di delirio di vanità, le fotografie stampate in cibachrome di Ghirri provocano un contrasto, rammentano che una cosa sono le immagini catturate dalla fotocamera di un cellulare e altra cosa sono le fotografie. Il concetto celato nella scelta di fotografare quel luogo, o quel dettaglio, in quella luce, a quella distanza e con quelle linee che l’occhio, il suo occhio, vede ancor prima di guardare nell’obiettivo, nasce da un lungo processo di conoscenza e analisi, non solo della tecnica fotografica o dell’arte, ma abbraccia un modo di pensare e riflettere assai più ampio.
Il viaggio a ritroso che questa mostra mi ha provocato non è solo mentale, si estende a più sensi: l’occhio è coinvolto nella ricerca di tonalità che narrano un passato e che la sua tecnica fotografia mette in luce; la serie Colazione sull’erba invita a toccare quel verde che assume forme e contesti differenti; e poi ci sono fotografie il cui l’olfatto si attiva, il naso si arriccia come a voler recuperare dalla scena la traccia di un odore, di asfalto o di terra, forse di sabbia e polvere.
La fotografia diventa linguaggio che opera per accumulazione istantanea sul significare del cambiamento di senso quando il mondo dei segni si integra con il mondo fisico, e insieme ulteriormente su di una terza visione.
Luigi Ghirri, 1978

Questo suo mondo fotografico mi lascia un senso di partecipazione. Costantemente, anche nelle immagini dedicate all’architettura, quella passione, quel senso febbrile per la ricerca fotografica, di cui parlano le persone che gli erano vicine, si percepisce chiaramente e, in questa mostra, in questo viaggio, mi sono chiesta più volte quale sia la ragione, se fossero la carta fotografica, i toni che sceglieva o altro. Poi me lo ha spiegato lui:
Non riesco a separare, in altre parole, una percezione delle forme dalla percezione di un sentimento o dal constatare l’apparenza delle cose visibili. Se la fotografia è un viaggio, non lo è nei termini classici suggeriti da questa parola, è piuttosto un itinerario tracciato, ma con molti scarti e ritorni, casualità ed improvvisazione, una linea a zig zag.
Fotografare non è decifrare, descrivere o trasformare una data realtà, ma è tutto questo contemporaneamente; credo che la fotografia sia semplicemente la rappresentazione di come si percepisce la realtà, il mondo esterno, ma questa percezione
non è mai univoca o codificabile, è piuttosto
un vedere e un sentire «a strati».
da niente di antico sotto il sole
Sono convinto che la fotografia sia una rappresentazione attraverso la quale si mettono in evidenza, si mettono in luce le cose. Consiste nel dare luce alle cose. La fotografia essenzialmente è scrivere con la luce, quindi una delle cose essenziali è imparare a lavorare con la luce, avere sensibilità nei confronti della luce.
da Lezioni di fotografia
INFINITO L’universo di Luigi Ghirri | #filmdavedere
Ghirri è presenza, dice Matteo Parisini, regista del film Infinito. L’universo di Luigi Ghirri che è stato presentato sabato 15 Ottobre alla Festa del Cinema di Roma, e trovo che la sua definizione sia perfetta. Di nuovo un viaggio, il suo viaggio con Luigi Ghirri è un documentario, uno studio di terre, acqua, colline e orizzonti infiniti, un alfabeto di immagini per interrogarci sul presente. Qui il trailer:
Alcune note sulla mostra
La mostra esposta al FMAV è a cura di Daniele De Luigi ed è parte del progetto Vedere Oltre, un palinsesto di eventi che celebrano Luigi Ghirri per tutto il corso del 2022, a 30 anni dalla sua scomparsa. L’esposizione propone un percorso cronologicamente inverso che parte da fotografie della seconda metà degli anni Ottanta, tratte dalle serie Versailles e Il profilo delle nuvole, che hanno segnato un punto di svolta nella fotografia italiana di paesaggio, e poi indietro nel tempo fino ad alcune straordinarie vintage print del suo periodo iniziale, tra il 1970 e il 1973. Ci sono, direi quasi ovviamente, immagini dedicate al centro storico di Modena e altre fotografie che interpretano le architetture di Paolo Portoghesi e di Aldo Rossi (di cui si presentano alcuni inediti), e una bellissima –per me straordinaria– serie di fotografie da Colazione sull’erba, realizzata tra il 1972 e il 1974.
Le fotografie sono state scattate nelle sale espositive della mostra.
La prima citazione è tratta da uno scritto originale del fotografo:

Le altre citazioni sono tratte dai seguenti libri:
Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, a cura di Giulio Bizzarri e Paolo Barbaro, con uno scritto biografico di Gianni Celati, 2010, Quodlibet
Luigi Ghirri, Niente di antico sotto il sole. Scritti e interviste 1973-1991, introduzione Francesco Zanot, 2021, Quodlibet

Chiara, leggendoti rivivo le sensazioni che ho provato quel giorno alla mostra, quando parli del suo viaggio a ritroso nel tempo alla ricerca del quotidiano e dell’ordinario che lui sa rappresentare come straordinario e con una sensibilità tale da farci percepire la realtà rievocandone perfino i colori e i profumi.
Io vivo in paesaggi simili a quelli di Ghirri e prima di conoscerlo pensavo che qui avrei trovato ben poco meritevole di interesse … con lui invece ho capito che qui c’è tutto il mio mondo ed è per questo devo scoprirlo per amarlo e testimoniarlo.
L’ho fatto e continuo a farlo portandolo sempre con me come mio riferimento e fonte di ispirazione.
Grazie Chiara.
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Grazie a te per questo riscontro. Sono contenta delle nostre percezioni condivise.
I maestri, delle arte visive o della letteratura, ci accompagnano e ci offrono prospettive diverse, ci aiutano ad ampliare una visione del mondo, trasformando anche le cose semplici in cose di valore, questa la loro grandezza e la loro bellezza. Continuiamo a “viverli” e a “viverci”. Un caro saluto
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